Parlando di Argentina. Sono due donne, ad un tavolo, in fondo alla stanza. Era martedì pomeriggio a Torino, palazzina Einaudi. Il riferimento è la Reorganización Nacional (dal 24 marzo 1976 il governo argentino è dittatoriale. La giunta militare è formata dal tenente generale Jorge Rafael Videla, l'almirante Emilio Eduardo Massera ed il brigadiere generale Orlando Ramón Agosti). "Circolate", i soldati di plaza de Mayo si irritano alla presenza delle donne con il fazzoletto bianco in testa.
A quel punto Vera Vigevani Jarach dice di aver iniziato a circolare, con le altre madri, le compagne nella piazza. Cercando una informazione, sapere dove erano quelle persone scomparse, figli.
Da questo punto muovono i discorsi di Vigevani e Norma Berti (detenuta negli anni settanta). Le mosse da plaza de Mayo si allungano sul "destino di testimone", il peso della memoria, "ciò che ci manca".
Vigevani parla di un fatto viscerale, nello scendere in piazza, il muoversi in piazza contatto con le altre donne, circolando. Ha a che fare con le viscere, interiorità biologica, organica; il metabolismo dei passi attorno il piccolo obelisco. Ciò che lega ora la protesta fattuale della piazza alla memoria sembra proprio essere lo spazio biologico in cui entrambe si adagiano agitandosi, scuotendosi nello scuotere stesso del corpo.
Norma Berti preme a fondo questo nodo (piazza-biologico-memoria) nel parlare del "destino faticoso" del testimone, l'"ossessione alla memoria" nella clandestinità del genocidio argentino. "A Cordoba veniva un camion", Berti tocca alcuni frammenti di sè, come sopravvissuto, colui che sà, "conosce le facce di carnefici e vittime", i luoghi, campi di concentramento, il camion di Cordoba. Lei getta ora sulle persone che ascoltano oltre il tavolo le docce gelate, le torture, le pressioni psicologiche, la lotta nel campo, e nella prigione. Nel mezzo di "corpi cancellati fisicamente" e "corpi cancellati dalla memoria" si pone il sopravvissuto. L'INFRA macellato.
Prima di ogni tentativo di racconto, eccede il tentativo linguistico, il dolore.
Ne filtrano spazi nella voce un poco più rotta, il tono di voce che si abbassa, e si chiude il suono della parola politica.
(Rughe)
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