Quella di oggi, sotto il nome di sciopero della cultura, vorrebbe essere una forte risposta al via libera del Consiglio dei Ministri al disegno di legge (28 ottobre). Ciò che si manifesta nel documento ministeriale, è un piano di modifica "universitaria" a partire dalla governance (il Cda assume il funzionamento di indirizzo strategico e finanziario; sarà composto per il 40% de esterni-privati). A seguire, la sostituzione (per sparizione) delle facoltà -didattica- per i dipartimenti - ricerca-; la possibilità di federazione -federalismo(?)- tra atenei o atenei ed enti di formazione; istituzione del fondo per il merito (test standard per borse di studio e prestiti d'onore); abilitazione nazionale per la docenza (a cui segue la concreta valutazione d'assunzione in commissioni di ateneo); ricercatori a tempo esclusivamente determinato (3 anni + 3, oltre cui 1) si diviene professore associato, 2) si smette di lavorare).
Se la protesta rimanesse ora ferma l'Università rimarrebbe ancorata alla propria "gestione feudale", arrancando all'ombra di un virtuosismo spettrale, privata nei suoi spazi.
Rughe
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