"Le immagini necessitano di un'operazione che sappia portarle al chiarore della lettura, ma così rischiarate esse restano come invisibili sotto la luminosità accecante di ciò che si proietta su di esse."
Si tratta quindi di una luminosità accecante. O meglio di una proiezione luminosa, accecante. La didascalia, il montaggio.
Sembra crearsi la forzatura di una dialettica artificiosa tra immagine-didascalia, illustrazione-parola. Lo scambio è imposto nel momento in cui la parola si incolla unilateralmente all'immagine. Il dialogo (il "TRA", taglio, tra discorsi; discorso-TRA-discorso) è fittizio, o mancante. Al discorso dell'illustrazione (oscuro, opaco, indefinibile, ma comunque traccia) si pone dall'altro lato del TRA una spiegazione di tale discorso, la sua illuminazione, la didascalia. Questa didascalia non è discorso (proprio) ma lampada sul discorso inscritto nell'illustrazione. Nel taglio che è dialogo dunque, le regioni dell'immagine e della parola non comunicano in forza della cecità prodotta dalla seconda.
Decade la comunicazione. Il resto è la colla tra i due capi di questa.
Nel luogo di questa reciprocità perversa, è già presente lo sguardo del voyeur; l'Io-guardante. Questi, questo-Io è la cabina di ricezione posta nel mezzo dello pseudo-dialogo immagine-parola. Il luogo del TRA dialogico è dunque svuotato dall'illuminazione (di cui sopra) e riempito dall'Io-che-guarda l'immagine. La fonte della proiezione luminosa è alle sue spalle; l'immagine davanti, rettilinea allo sguardo (l'illustrazione arriva prima della parola). La luminosità che filtra di-oltre-le-spalle (le mie spalle) didascalizza l'immagine osservata (che osservo).
Ma cosa significa questo passaggio? Questa inalazione luminosa che l'Io-guardante respira nel trovarsi nel luogo di mezzo della comunicazione fallita tra immagine-parola? Cosa questa indignazione-sofferenza-assuefazione davanti l'immagine?
Il porsi di mezzo dell'Io-guardante nel processo diapositivo illustrazione-didascalia, coincide con una (2)de-soggettivazione mascherata da (1)Io-sento. In altre parole, nel momento in cui Io-guardo una immagine che ritrae un "corpo martoriato", sento. (1)Questo sentire (sofferenza, indignazione, neutralità, repulsione, eccitazione) è già presunzione di identificazione, lo è per me stesso. "Io ho sentito questo. Ne sono sicuro. Io". (2) Se tuttavia, sento la certezza di questo Io-sento, il luogo in questo accade è già un luogo perverso, in cui ottengo il mio nome (l'idea di nome è qui identica al sostenere l'idea del Io-sento di sopra) nel posto in cui lo ottiene una ampia generalità di persone. Il TRA è riempito da una estesa quantità di persone, di Io-guardante (Io-sento).
Immagine-Io(sento)-didascalia.
Accade qui che il stesso processo di attribuzione che agisce dalla parola all'immagine, si compie nei confronti dell'Io, colpendolo nel momento in cui maggiormente si soggettivizza. Il momento della "sensazione". Identificazione manipolata, condotta, didascalizzata. Ha luogo la marca: sofferente, indignata, neutra, eccitata. Il resto è la colla tra le immagini.
Rughe
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