26.11.09

"Circolate"

"A Cordoba veniva un camion"

Parlando di Argentina. Sono due donne, ad un tavolo, in fondo alla stanza. Era martedì pomeriggio a Torino, palazzina Einaudi. Il riferimento è la Reorganización Nacional (dal 24 marzo 1976 il governo argentino è dittatoriale. La giunta militare è formata dal tenente generale Jorge Rafael Videla, l'almirante Emilio Eduardo Massera ed il brigadiere generale Orlando Ramón Agosti). "Circolate", i soldati di plaza de Mayo si irritano alla presenza delle donne con il fazzoletto bianco in testa.

A quel punto Vera Vigevani Jarach dice di aver iniziato a circolare, con le altre madri, le compagne nella piazza. Cercando una informazione, sapere dove erano quelle persone scomparse, figli.
Da questo punto muovono i discorsi di Vigevani e Norma Berti (detenuta negli anni settanta). Le mosse da plaza de Mayo si allungano sul "destino di testimone", il peso della memoria, "ciò che ci manca".

Vigevani parla di un fatto viscerale, nello scendere in piazza, il muoversi in piazza contatto con le altre donne, circolando. Ha a che fare con le viscere, interiorità biologica, organica; il metabolismo dei passi attorno il piccolo obelisco. Ciò che lega ora la protesta fattuale della piazza alla memoria sembra proprio essere lo spazio biologico in cui entrambe si adagiano agitandosi, scuotendosi nello scuotere stesso del corpo.
Norma Berti preme a fondo questo nodo (piazza-biologico-memoria) nel parlare del "destino faticoso" del testimone, l'"ossessione alla memoria" nella clandestinità del genocidio argentino. "A Cordoba veniva un camion", Berti tocca alcuni frammenti di sè, come sopravvissuto, colui che sà, "conosce le facce di carnefici e vittime", i luoghi, campi di concentramento, il camion di Cordoba. Lei getta ora sulle persone che ascoltano oltre il tavolo le docce gelate, le torture, le pressioni psicologiche, la lotta nel campo, e nella prigione. Nel mezzo di "corpi cancellati fisicamente" e "corpi cancellati dalla memoria" si pone il sopravvissuto. L'INFRA macellato.

Prima di ogni tentativo di racconto, eccede il tentativo linguistico, il dolore.

Ne filtrano spazi nella voce un poco più rotta, il tono di voce che si abbassa, e si chiude il suono della parola politica.
(Rughe)

26.11.09

BCE

26.11.09

La pulce nell'orecchio

Cos'è la moneta? L'unità di misura del valore.
La banconota sull'isola deserta non ha valore in quanto manca chi la utilizza, è dunque l'utilizzatore di tale banconota che ne determina il valore per mezzo di una convenzione. Oggi accade che la moneta nasce con un costo, ossia il valore di tale banconota nasce con essa, mentre non è altro che un pezzo di carta stampato a costi tipografici. La banca emettitrice si appropria così della differenza tra il costo tipografico ed il valore nominale, ossia il valore di convenzione; la banca presta e prestare significa essere proprietari.
La moneta, così concepita nel 1694 in Inghilterra, non era altro che una cambiale, con la quale la banca, a richiesta, sostituiva il valore scritto sulla banconota con un corrispettivo aureo. Questo controvalore in oro è stato abolito nel 1971 negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo. In Italia, sulle lire, si poteva ancora leggere "pagabili a vista al portatore", ma altro non era che l'eredità morta del sistema d'origine. Questa falsità ci viene oggi risparmiata sull'euro, che è diventato certificazione dell'inganno. La truffa si è talmente consolidata nel tempo che non la si percepisce, ed è impossibile affrontarla con gli strumenti dello stato di diritto.
Il valore della moneta lo crea chi la usa o chi la stampa?
Le banche non dovrebbero semplicemente amministrare il denaro che appartiene al popolo?
Qualcuno si è accorto di qualcosa?

26.11.09

Una storia.


“Mi piacerebbe scrivere una storia,

perchè le storie sono simili alla vita.

Non danno spiegazioni

e non enunciano esplicitamente prese di posizione.

Ma hanno significati grandissimi,

che restano nascosti tra le pieghe degli avvenimenti

e i personaggi che si incontrano e che le popolano.”



Non guardo molta televisione. Ho iniziato col toglierla dalla camera senza comunque mai averla inserita nel mio tempo libero. Ora l'ho tolta dalla casa, e ne faccio volentieri a meno. Sono disturbato dalla sua irriverenza e non riesco a trattenermi dal sottolineare la sua stupidità quando la sento ronzare in sottofondo, così poco discreta. Un lunedì mi trovo in una casa con la televisione accesa. Sento delle parole insolitamente familiari provenire da essa, parole che ho già sentito, parole che conosco a memoria, parole che stanno dalla bellezza di sette anni ormai appese sul muro di camera mia, in un rettangolino che si sono ritagliate col passare del tempo tra le tonnellate di ricordi più o meno buffi, più o meno belli, più o meno importanti.


Avevo una professoressa al liceo che era una persona di valore, severa nelle cose giuste, che non tollerava l'infantilismo da teenager che caratterizza i quasi diciotteni del nostro secolo, che non faceva compiti facili e le sue domande erano complicate, perchè non era sufficiente imparare a memoria ed imitare ma bisognava ragionare, come nella vita. Una persona temuta per certi versi, ma entusiasta nello spiegare le cose che amava, appassionata degli outsiders e dei forerunners che popolano la storia e la letteratura, una persona con una visione critica e acuta della vita, che non giudicava le situazioni umane problematiche e apprezzava di gran lunga di più gli sforzi e l'interesse che il comportamento perfetto e diligente dei grandi studiosi con uno spiccato senso del dovere. Una persona che non avresti mai detto potesse commuoversi davanti ad una classe a cui, in un rapporto di odio e amore, con un netto ma mascherato predominio del secondo, aveva sempre dimostrato a modo suo di essere quello che in effetti era: una donna forte e determinata a battere la testa fino a sfondare il muro delle difficoltà della vita, per assaporare il sapore della consapevolezza di viverla a pieno e di emozionarsi in essa.

Questa persona, durante la sua ultima lezione dell'ultimo anno, ovvero prima che ognuno di noi lei compresa andasse per la sua strada, conclude un po prima la spiegazione e consegna a tutti una copia di uno stesso foglio. Sopra c'è una poesia e lei, dopo che tutti ne possiedono una, con la solita austerità si alza in piedi e senza bisogno che chieda il silenzio è pronta per cominciare a leggere. Capita però che la durezza della voce delle prime parole lette si modifichi a poco a poco in un timbro più leggero, più basso e confidenziale, e che si faccia sempre più tremolante fino a trasformarsi in un pianto privo di tristezza ma pieno di malinconia negli ultimi versi. Ricordo ancora il silenzio che ci fu dopo il punto finale. Un silenzio sincero, il primo che avesse mai ottenuto da parte di tutti lì dentro. Su quel foglio c'era una poesia, quella poesia che ora sta appesa nel rettangolino di camera mia dalla bellezza di sette anni, che mi ha fatto capire che la poesia è la grandezza della parola e non vuota forma, e me ne ha fatte leggere mille altre, dicendomi che per poter esprimere cose immense ci vogliono per forza poche parole, e che il loro accostamento apre immaginari, ricordi e sensazioni uniche in chi le ascolta.

Sono queste le parole che ho sentito lunedì alla televisione, accostate però alle immagini di un noto superalcolico.


Ed è per questo che ora sono qui a scriverne altre. Perchè voglio rendere loro giustizia. Per la loro bellezza, che è stata stuprata, per le generazioni a venire, che crederanno che queste siano di una nota pubblicità, per la storia che si portano dietro e che ho raccontato. Per il pianto sincero di quella persona. E per me, per il mio rettangolino impolverato e consumato da sette anni di sguardi e occhiate quotidiane, in miliardi di momenti di bisogno, di piacere, di tristezza e di felicità.

Teo.Théo

24.11.09

Una sana contestazione


Polo Zanotto dell'Università di Verona, lunedì 16.11, ore 17.30: Feltri e Tosi intervistati da Stefano Lorenzetto, del quale l'invito tace e ruolo e collocazione (è un giornalista, lavora nello stesso Giornale di cui Feltri è direttore!). Da lui, da questo giornalista ex di Arena, a cui dobbiamo il Nuovo veronese e Telenuovo, si ascolta l'illuminante analisi proemiale: i due intervistati, famosissimi fra tutti, per i modi ruvidi e diretti, hanno da tutti riconosciuto il carisma della normalità. Questo, che ai miei tempi si diceva ossimoro, e che ha dell'inquietante, per come è veridico, è tutto quanto sentiamo dire sul clima di rissa italica, a cui allude il titolo dell'incontro.
Ma insomma, vietato andare per sofismi! siamo come in famiglia: alla faccia del luogo ospitante, che, fino a prova contraria, è luogo di ricerca e di confronto, oltretutto pagato con i soldi degli studenti. Ma di studenti se ne vedono pochissimi. In compenso, l'aula si riempie dei popoli leghista e berlusconiano (persino un infante al collo della mamma, rampolla della famiglia di bottegari del centro storico), popoli convenuti per assistere, fra spassi e applausi, allo spottone elettorale in lode di un moribondo Berlusconi, a detta di Feltri, capo unico di un partito e di un paese privo di uomini alternativi e di pratiche di democrazia.
Eppure, l'organizzatore dell'Assimp (imprend. e professionisti associati) ci aveva assicurato che l'incontro era proteso alla ricerca del dialogo, essendo loro animati da zelo per un'Italia normale.
Risponde il Rettore, di cui la per la si erano dimenticati (ah, l'inconscio com'è furbo!), magnificando la riforma universitaria, con due argomenti ferrei: frutto di un accordo con la conferenza dei rettori (un organismo privato, ve lo ricordo!); riporta l'Italia al moderno, al così fan tutte (le università del mondo).
E‚ è da chiedersi quale università del mondo avrebbe ospitato un incontro elettorale di così basso profilo, monotono e monocorde: anzi, repellente e basta.
Di solito, i rettori di tutto il mondo, ai convegni scientifici organizzati dai docenti, un saluto e via. Invece il Magnifico Mazzucco rimane fino alle 19.07.
Evidentemente, c'era da imparare. Imparare da Feltri, che si dice puttane e non escort, via!. Che la magistratura è un partito (spassosa, nella sua indecenza, l'imitazione del magistrato meridionale e fannullone), che Berlusconi non può farsi processare, e tanto più perché prima, quando non era un politico esposto, la magistratura l'ha sempre lasciato in pace, e tanto più perché sta governando bene. I nemici? Fini e la sinistra, un tormentone che libera gli astanti dall'angoscia del pericolo incombente sul leader. Risate, applausi a ogni evocazione; ride in continuazione anche il Sindaco (lui, invece, si sta liberando dall'emozione: si, ripetutamente si dice emozionato dalla vicinanza di cotanto Feltri, e gli trema pure la voce). Il rettore era ben presente quando il Feltri ha detto che a lui e al suo giornale non risultano morti. Che morti? Quelli che si dice che non arrivano alla fine del mese. Se uno non arriva alla fine del mese, muore. O no?
E Cosentino? A parte che Cosentino dovrebbe finire sotto il tiro della magistratura, solo perché si propone come presidente di una regione come la Campania... Capisce al volo il popolo presente, e si lancia in una ovazione.
E Veronica? Veronica parla con Repubblica, invece che con il marito. Pertanto, Berlusconi (per la proprietà transitiva o transattiva?) è andato a letto con l'opposizione.
Evidentemente c'era da imparare. Anche Tosi ha dato a suo modo lezioni.
Tosi, eh lui invece sa tutto di tempi modi vita morte e nonmiracoli del penale e del civile. La sua condanna? ma per una raccolta di firme, via. E poi il popolo, la gente, lo ha premiato col voto, respingendo la condanna. Testualmente dice: "non è stata compresa" (la condanna). Lui, diversamente dai tribunali, fissa un appuntamento in due settimane, ai cittadini. E poi il Berlusconi, ponga la fiducia su certe cose, e vada avanti. E poi caldeggia la riforma della magistratura, che risponda a un soggetto terzo (di grazia a chi, visto che non vuoi né parlamento, né altri organismi politici?).
Vi risparmio tutto il resto. Ma sottolineo che a metà incontro, alla vista di studentesse e studenti sedutisi nel frattempo sugli scalini, il popolo a me intorno comincia con insulti e provocazioni, ben udibili da parte della Digos che li stazionava. Cerchiamo di resistere a molte provocazioni.
Quando gli studenti vanno, previo invito, a prendere parte al dibattito, e cominciano con le domande e aprono uno striscione, scoppia il finimondo. Sento un ragazzino, col giubbettino giusto e genitori al fianco, gridare "avanzo di galera"‚ all'indirizzo del Manu che non riesce a prendere la parola; lo redarguisco forte, sperando che la Digos, a quel punto presente in massa, mi senta. Lui rincara. Boati fischi minacce. I ragazzi le ragazze non riescono a parlare. E' pieno di Digos, un carabiniere sparuto, lo staff di Tosi. Finisce che io ho paura per la nostra incolumità fisica, e prego tutti di restare uniti. Non vedo un collega (mi pareva che almeno uno ce ne fosse), un volto amico. Niente, solo urla, e la Digos che vuole i documenti, e non sa spiegare perché. Resistiamo, ci portino in questura, la polizia che viene in università e che impedisce agli studenti di fare domande! Prima il dileggio di un incontro che suona offesa al buon gusto e all'intelligenza, e poi la repressione, a noi che eravamo stati in silenzio e buoni. Alla fine, non poteva che esserci quella contestazione li, giusto quella che le ragazze e i ragazzi hanno fatto, con modi più che civili, ma incisivi.
Finisce alla grande. Tosi, a cui volevano fare le domande, si ferma e gioca al piacione, placa la Digos come fossero suoi cagnolini. Manu, e qui lo cito perché è stato coraggioso e lucido e generoso, gli ripropone, con una studentessa, le domande sulla mafia e Berlusconi. Risponde. Puntiglioso, documentato, spietato, ironico e autoironico, il Manu chiede dell'omicidio Tommasoli: è o no maturato quel delitto entro una humus propizia, la destrorsa violenta città di Verona, con cui il sindaco si è sentito in obbligo di sfilare? Tosi ripropone il suo ritornello sugli idioti solitari, e gli scappa di andare via. Fugge. Forse ha sentito che serpeggiava tra noi anche un'altra parola fatidica: Traforo.
Nessuno pretende più di riconoscerci o di portarci in questura. Ma Bolis, l'uomo dal profilo scolpito nella cirrosi (per caso beve, o lavora troppo? E Tosi, che cera ha, di nocciolato toblerone andato a male), ma Bolis torna indietro e ci stuzzica, in solitaria. Si sente dire il vero: che il sindaco non ha risposto alla domanda, se Nicola Tommasoli sia morto per mano di una città destra e violenta che lo ha per sindaco.
Bisogna ripartire da qui, da questo che hanno fatto le ragazze e i ragazzi di una università che un tempo segnalava per tempo i guasti del mondo intorno, e ora li ospita al suo interno, senza che nessuno fiati.
Lasciatemi dire che hanno fatto di meglio e di più, con un coraggio una rabbia una determinazione una lucidità che mi fanno pensare che non tutto sia perduto.
Per questo, con le lacrime agli occhi, gli dico un'altra volta grazie.
Un grazie anche al bidello, che si è sentito dentro fremere la nostra stessa indignazione.
Cristina Stevanoni

24.11.09

24.11.09

Barcellona. Non-luogo e marca

Nonostante le comodità evidenti della scelta, la pratica dell'autostop non è una delle modalità di viaggio più facili. Se poi il tragitto comporta alcune centinaia di km, nonché il passaggio di una frontiera, si comprende come la riuscita sia cosa piuttosto aleatoria. Salvo rare occasioni fortuite, ogni passaggio non è altro che l'aggiunta di una tappa intermedia e spesso imprevista rispetto all'itinerario pianificato. E così Arles, Nîmes, Perpignan o Girona non restano più semplici nomi marcati su una cartina stradale, ma finiscono per concretizzarsi in altrettanti svincoli autostradali: l'impressione che si ha ad ogni passaggio conclusosi è paradossalmente quella di essersi avvicinati alla meta, ma avendo allungato tuttavia il percorso. E' una forma di concretizzazione dei luoghi. Beninteso, l'impressione è solo apparente: innanzi tutto perché ad ogni arresto si è di nuovo consegnati al caso; secondariamente, perché l'autostrada, nonostante quanto il senso comune dia a credere, non passa per le città: essa semplicemente le include estromettendole dal proprio percorso, dalla propria linearità ideale. Il dispositivo-autostrada esclude per principio ogni luogo propriamente detto, restituendoci alla solitudine delle corsie, degli svincoli o dei caselli, solitudine comune ai non-luoghi in cui tutto si riduce al passaggio di soglie innumerevoli. La stessa automobile non è altro che un non-luogo, nel contesto autostradale. O almeno dovrebbe essere tale, se il gesto dell'autostop non intervenisse a minare la condizione di impermeabilità in cui abitualmente si trovano i passeggeri del veicolo. Proprio dove quest'ultimo – con le sue portiere ben chiuse, con i suoi vetri alzati e, sempre più spesso, opachi – è chiamato a garantire l'assoluta assenza di qualsiasi relazione inaspettata (che non sia dunque già compresa nelle regole del dispositivo autostradale – il pedaggio – o nella scelta del dispositivo automobilistico – i compagni di viaggio), proprio là, ecco che l'autostop intoduce niente meno che un incontro inaspettato. Di questo incontro, niente si può prevedere, non si può sapere se esso sarà fortuito o indesiderato, se avvicinerà alla meta o se creerà soltanto altri ostacoli. Non si tratta propriamente di fiducia. Nell'istante del suo darsi, l'incontro non lascia alcuna apertura alla sicurezza: non vi è alcuna segnatura, alcuna marca che possa delimitare e inquandrare l'evento. Nessuna fiducia all'interno del non sapere di questo incontro, ma una sorta di comune abbandono, e un incrocio di bisogni, il loro incontrarsi sul limitare di un dispositivo. Ed è solo con l'utilizzo della marca, di una qualsiasi marca che possa introdurre una individuazione, che tutto si risolve nella normalità, nella relazione. Ecco allora che al solo pronunciare il vero nome della destinazione, Barcellona, l'effetto della marca ha già cambiato la natura effettiva dell'incontro, come se già solo questa parola potesse disvelare l'identità precisa degli individui coinvolti. Se prima l'incontro si giocava semplicemente sulla sovrapposizione di due percorsi, ora la marca produce la necessità di un intrecciarsi di narrazioni, uno scambio di storie. Sì è compagni di viaggio. Strana alchimia, quella della marca: essa non si comporta come un semplice attributo inessenziale verso il suo sostantivo, o come un accidente verso l'essenza a cui si aggrappa; la marca, al contrario, si innerva in profondità in ogni singolarità, in ogni evento o in ogni essere toccati da essa, modificandone le traiettorie, operando una trasmutazione tanto del loro darsi quanto del modo in cui esse sono percepite. [continua]
Marco

24.11.09

Ministro Fantasma

Quello che segue è il racconto della giornata di di venerdì 20 novembre a Torino. Mentre sotto il Miur una donna ringrazia ed abbraccia uno studente in protesta, l'onorevole Ghiglia così commenta i fatti accaduti alla sede Pdl: "Questi finti studenti ma sicuri delinquenti hanno dimostrato ancora una volta il loro vero volto e se non fosse stato per il tempestivo intervento delle forze di polizia avrebbero assaltato la sede del Pdl". (Adnkronos) [Grassetto mio].
Discorso divino, mano creatrice, onorevole Ghiglia, l'ente oltre-umano, che tutto conosce, tutto identifica (finti studenti, sicuri delinquenti, loro vero volto), che tutto racconta [Commento mio].
Da Adestra arriva invece il commento di una "Torino come a Stalingrado." (?)
Nel fare riferimento ad una "donna incinta di 4 mesi" come ministro (Gelmini), Adestra descrive gli studenti alla sede Pdl come "una cinquantina di squatter".
Rughe-verovolto-squatter-fintostudente-verodelinquente
FOTO1 [corso Vittorio Emanuele II, sede Pdl, 20 novembre 2009 - onorevole Ghiglia]



FOTO2 [corso Vittorio Emanuele II, sede Pdl, 20 novembre 2009 - Ravello e Ghiglia]



FOTO2 [Immagine pubblicata con l'articolo di Adestra] (?)



Oggi, 20 novembre 2009, circa 200 studenti medi ed universitari si sono radunati a palazzo nuovo dalla mattina per contestare la presenza del ministro Gelmini nella nostra città. Erano presenti giovani di diverse scuole superiori e studenti dell'università e del politecnico. Il primo dato della giornata è stato il tentativo del ministro di mantenere il segreto su ogni suo spostamento, fatto che dimostra l'estrema impopolarità delle sue politiche, dei suoi tagli e delle sue riforme, che producono contestazioni in tutta Italia, come è avvenuto il 17 novembre, e rendono la sua presenza sgradita a studenti, insegnanti e precari di ogni città.

Il tour gelminiano è iniziato da Rivoli, dove il ministro è andato a cercare i flash dei fotografi per un puro risvolto di immagine; in realtà sappiamo bene di chi sono le responsabilità della morte di Vito, cioè precisamente di chi rende impossibile, con i tagli e l'attacco alla scuola pubblica, una reale manutenzione degli edifici scolastici. Non basterà certo dare a Vito il nome di una scuola per riparare il crimine di chi mette a repentaglio giorno per giorno le vite degli studenti.

Il presidio studentesco si è mosso verso le 13:00 verso il Miur, dove era annunciata la presenza del ministro, che non si è fatto vedere. Dopo una breve occupazione degli uffici del ministero contro tagli e riforma dell'università - un ddl che svende l'università ai privati e diminuisce gli spazi di democrazia negli atenei - un corteo si è diretto alla sede del Pdl, dove era prevista una tappa della Gelmini. Qui i è avvicinato all'ingresso per portare la contestazione alle politiche del ministro e del suo partito, ma è stato aggredito da alcuni esponenti del Pdl con pugni e cinghie. Tra loro spiccavano il consigliere Ravello, Malan e il poco onorevole Ghiglia, sempre in cerca della provocazione e della rissa per attaccare gli studenti che contestano le loro politiche. Non ci stupiranno le loro sicure strumentalizzazioni.

Dopo l'aggressione di Ravello e Ghiglia, quest'ultimo armato di cinghia nell'atto di gridare "io non vi picchio, io vi sciolgo nell'acido" (wow! Le "istituzioni"...), giungevano sul luogo una ventina di agenti della celere che, correndo verso il portone, spingevano gli studenti nell'androne del palazzo e iniziavano a manganellare e a prendere a calci studentesse e studenti (e persino qualche giornalista), alcuni ai primi anni del liceo, nello sconcerto generale.
L'ennesima dimostrazione del fatto che in questo paese - si pensi agli arresti di Milano a danno di studenti medi e universitari - non è più possibile il dissenso studentesco: l'unica risposta del governo e del ministro è la violenza. Anche in questo caso la Gelmini non si è fatta vedere.

Dopo questo episodio un corteo anche più numeroso ha raggiunto la Fondazione S.Paolo per la Scuola in via Lagrange, dove secondo fonti giornalistiche il ministro avrebbe fatto tappa, ma anche qui ha dato forfait. Il bilancio della giornata è quindi quello di un ministro fantasma, che fugge agli studenti - che fanno comodo, evidentemente, solo da morti - di politici locali cinquantenni di destra armati di cinghia contro i liceali, di cariche folli e indiscriminate contro gli studenti, con un bilancio, tra di noi, di diversi feriti.

CHIEDIAMO CAMBIAMENTI CI DANNO POLIZIA

QUESTA E' LA LORO DEMOCRAZIA
Studentesse e studenti medi, dell'università e del politecnico contro il ministro Gelmini

19.11.09

Lo spettacolino imbarazzante


Per quanto sul sito web dell'Università di Verona non fosse stato pubblicato alcun comunicato e avviso, lunedì 16 novembre 2009, alle ore 17,30 nell'Aula Magna del Polo Zanotto, si è tenuta una conferenza dal titolo “Italia, rissa continua. Come se ne esce?”, incontro affidato alle voci di Vittorio Feltri, direttore de “Il Giornale”, Flavio Tosi, sindaco della Città di Verona e moderato da Stefano Lorenzetto. Organizzata dalla Associazione Imprenditori e Professionisti Veronesi (Ass.Im.P.) e patrocinata oltre che da Calzedonia dalla stessa Università, l'iniziativa è stata inspiegabilmente tenuta nell'ombra fino all'ultimo momento agli studenti e alle studentesse. L'Aula Magna è infatti gremita di signorotti in giacca e cravatta accompagnati dalle loro signore ingioiellate. Qua e là qualche studente, un po' meno elegante.

L'incontro si apre con gli interventi del presidente dell'associazione organizzatrice, Galbusera e del Magnifico Rettore Mazzucco che dopo essersi vicendevolmente ringraziati colgono l'occasione per elogiare il disastroso disegno di legge del ministro Gelmini ed una riforma che, ci dicono, farà finalmente dell'Italia un "Paese normale". Questa è solo la prima delle diverse occasioni in cui, durante la serata, verrà fatto riferimento ad una non ben definita idea di normalità. Si evince infatti fin dai primissimi interventi dei due ospiti che se l'Italia è perennemente in rissa, come il titolo della conferenza suggerisce, è perché la situazione, evidentemente, è anomala. In cosa consista l'anomalia lo chiarisce subito Feltri: l'antiberlusconismo.

L'incontro slitta immediatamente in una lunga apologia di Berlusconi, fossilizzandosi in un allucinante rimbalzo di dichiarazioni ed invettive adatte forse ad una sede di partito o a qualche bar, non certo ad un'Aula Magna. Argomento della discussione diventa la difficile situazione in cui una cospirazione di magistrati politicizzati, Presidente del Senato, Presidente della Repubblica, giornalisti analfabeti e fotografi daltonici ha premeditatamente fatto cadere Berlusconi.

Le argomentazioni di Feltri nulla hanno da invidiare alle prime pagine della testata di cui è direttore e di cui, è il caso di ricordarlo, è proprietaria la famiglia Berlusconi. Si parla di Fini e Napolitano? Feltri profetizza: «so che si sentono tutti i giorni. Credo che entro dicembre assisteremo ad un regolamento di conti». Si parla di Magistratura? Feltri, dopo aver sentenziato sulla radice comunista del suo operato, si improvvisa in un improbabile accento partenopeo per dipingere l'oziosità inefficiente di tutti quei magistrati che lui più di una volta ha incrociato nei corridoi dei tribunali mentre “parlano del Napòli del Millàn e dell'Innttèr”.

Incalzato dal moderatore Feltri ci parla anche della crisi: «i media disegnano una realtà tragica: disoccupati, gente che muore per strada. Adesso, io non ho mai visto cadaveri per strada. Anche i giornali, non segnalano cadaveri. Ma allora se non riesci ad arrivare alla fine del mese, perché non muori?».

E così Feltri parla e parla, e le sue parole rendono quelle di Tosi quasi diplomatiche.

Il pubblico ride e applaude divertito ad ogni intervento sapendo evidentemente di non dover rendere conto a nessuna controparte. Solo all'apertura del dibattito alcuni dei pochi studenti presenti chiedono la parola per poter esporre qualche critica e denunciare il basso, bassissimo livello della conferenza a cui avevano appena assistito. Digos, Polizia e le varie guardie del corpo entrano immediatamente in allerta. Non fanno a tempo a cominciare gli interventi che dalla platea si levano urla, fischi ed insulti: "andate a lavorare!", "avanzi di galera!", "nessuno vi ha invitati!".

A questo punto, mentre qualcuno tenta di aprire uno striscione con scritto "Oggi docenti d'eccezione: intolleranza e repressione", più di qualche signorotto si alza livoroso dalla propria poltroncina per arrivare a contatto con gli studenti. Viene trattenuto a stento dalla moglie in pelliccia o qualche agente. Gli studenti assistono increduli. Feltri abbandona il suo posto. Il Rettore viene scortato fuori dall'aula. Il moderatore coglie l'occasione per dichiarare frettolosamente la chiusura dell'incontro.

Ci chiediamo quale idea di "confronto sereno e privo di pregiudizi" possano avere persone che arrivano a togliere la parola in questa maniera a chi anche solo tenta di argomentare un punto di vista differente. Ci chiediamo quale idea di "Paese normale" condividano queste persone. Evidentemente la condizione sottointesa per arrivare a superare la rissosità nel confronto politico è la sopressione di ogni forma di dissenso e la messa a tacere delle voci non allineate.

Ci sarebbe piaciuto interrogare Feltri sulla sua credibilità come giornalista e interlocutore in un dibattito che si auspicava di trovare soluzioni per uscire dalla rissosità, lui che negli anni si è distinto per la provocatorietà, il cinismo e il linguaggio becero. Avremmo voluto chiedere a Tosi della speculazione edilizia in Passalacqua, della disastrosa situzione dei parcheggi in Veronetta, delle motivazioni per cui rifiuta di dare ascolto ai dubbi dei cittadini sul progetto del traforo; ci sarebbe piaciuto sentire la sua opinione sugli ultimi sviluppi dell'omicidio di Tommasoli. Come studentesse e studenti dell'Università di Verona riteniamo sarebbe stato nostro diritto poterlo fare.

Ci siamo invece ritrovati spintonati e insultati da una platea livorosa degna della curva di uno stadio, circondati da agenti della digos che paradossalmente chiedono i nostri documenti e minacciano di portarci in questura. La situazione è talmente assurda che interviene perfino il Sindaco. Dice che in fondo siamo solo ragazzi e che non c'è bisogno di identificazione. Siamo salvi. Abbiamo rischiato grosso, noi e le nostre domande impertinenti.

Questo breve comunicato vuole essere un appello alla decenza. Siamo schifati da ciò che è successo lunedì, dal modo in cui è stato condotto l'incontro, da ciò che è stato affermato da parte dei relatori, dalla complicità del Rettore. L'Università dovrebbe essere luogo di ricerca e di cultura, non merita spettacolini imbarazzanti di questo tipo. Chiediamo che iniziative di così basso profilo culturale non trovino ospitalità nel nostro Ateneo. Pensiamo che l'Università non debba offrire i propri spazi alle scorribande di qualche provocatore di professione e tantomeno debba ospitare, pur di racimolare qualche soldo, comizi politici e meeting imprenditoriali. Se l'incontro di lunedì è stato un modo per inaugurare le future relazioni tra Università e privati, come studentesse e studenti siamo pronti
a dare battaglia.

Collettivo Facoltà Umanistiche
http://studiareconlentezza.noblogs.org
Tutti i materiali su questo spettacolino.

19.11.09

Nessuno più vuole finire in prigione


No, non si tratta di un incitamento al crimine, ne tantomeno della triste confidenza di un secondino in cassa integrazione. Il titolo di questa riflessione è infatti parte del testo di uno dei primi, forse proprio il primo, successo dei Clash: White Riot.
Strummer, nella canzone, si lamenta del fatto che agli uomini bianchi non importa più niente di agire fuori dagli schemi, senza tenere conto delle conseguenze dei propri atti, anche quando queste concernono addirittura il carcere.
Come possiamo risignificare oggi questa frase? Joe non voleva dire, credo, che dobbiamo metterci a fare la prima cosa che ci passa in testa, perché se non abbiamo mai fatto una notte in gattabuia non siamo degni partecipanti della nostra personale rivoluzione.
Il suo messaggio potrebbe anche suonare a questa maniera: “hey amico, ti gira per la testa qualcosa di buono? Fallo! E poi sia quel che sia… la galera, il fallimento, l’oblio… che importa?”
In breve: smuovere una situazione statica e intollerabile, anche a rischio di fallire.
Capisco che un messaggio del genere porta con se un’eco assai affievolita degli anni in cui fu scritto in versi dai Clash. Come ci può essere utile in chiave odierna?
Ripartiamo dalla staticità di una situazione.
Sappiamo che, ogni tentativo di uscirne produce alla lunga effetti che, dopo un primo tempo dinamico, tendono a stabilizzarsi e a ripristinare un equilibrio, forse differente da quello di partenza, ma comunque nuovamente statico.
L’infrazione alla norma che riscuote successo diviene la nuova norma, e la coerenza con la scelta fatta in principio non fa altro che legittimare il nuovo regime immobilistico.
La nuova norma, come quella vecchia, crea poi i propri soggetti, e questi, una volta riconosciuti, non possono non portarne il marchio.
Ne consegue che le nuove norme non liberano i soggetti da quel marchio, ma ne creano semplicemente di nuovi.
Le implicazioni di ciò sono molteplici, ma quella più immediata concerne “l’autonomia”. Non è infatti possibile, una volta riconosciutosi come tale, per il soggetto poter fare scelte autonome.
L’unica autonomia che ci è permessa non è la possibilità di fare scelte autonome, ma quella di poter essere autonomi rispetto alle scelte fatte.
Si, sembrerebbe un cane che si morde la coda, ma non è proprio così: le scelte fatte non sono mai autonome, perciò nemmeno la scelta di rendermi autonomo da una precedente scelta lo é.
In realtà, ciò che differenzia questi due tipi di scelta è l’orizzonte di libertà in cui si muovono: mentre le scelte di primo impatto si muovono in buona parte nell’emisfero della necessità, quelle di “misconoscimento”, “abbandono” o del semplice”lasciar che sia” restano a mio avviso più legate all’emisfero concettuale della possibilità. Ora; non sto dicendo che una scelta sia necessaria e una possibile, tutt’al più che alcune scelte sono molto necessarie e altre sufficientemente possibili.
Ci sono momenti in cui è necessario fare certi discorsi, e altri momenti, proprio sulla soglia della loro cementificazione semantica, in cui c’é la possibilità di discostarsene.
Introdurre un discorso politico in un certo contesto, e restare coerenti con esso, anche quando non produce più movimento e si è fatto norma, generando soggetti identitari, significa accettare il gioco dei ruoli, ed è ciò che più si allontana da una qualsiasi idea di autonomia.
Certo è che misconoscere certe scelte a noi care costa, proprio in termini di identità, e non è facile abbandonarle, proprio perché in esse c’è qualcosa che parla ancora di noi, ma che al tempo stesso ci tiene legati, sedimentati, unitari, soggetti.
Ecco perché abbandonare un percorso politico che ti ha dato molto, ma oramai ti da solo quello, può sembrare un fallimento, ed in qualche modo non apparire più come il soggetto-ruolo in cui ti sei riconosciuto, in cui la gente ti riconosce, è un po’ come sparire, non essere più visibile.
Sparito come sparisce chi viene rinchiuso in galera.
Sarebbe bello sentire cosa ne penserebbe il vecchio Joe, forse me la potrei cavare con un caldo invito ad andare a tirare un mattone ad una banca e pensare di meno, oppure potrebbe ammonire dicendo: visto che non puoi in alcuna maniera essere autonomo, rendi autonome le tue scelte: falle, e al momento giusto abbi il coraggio di andartene in galera. Compile, e quando è ora fallisci nel tentativo di slegarti da esse.

“Fallire, provare di nuovo, fallire meglio” (S. Beckett)

Ale B.

19.11.09

Dal Rettorato Occupato


Torino.
E' mezzogiorno quando gli studenti in protesta entrano nel cortile del rettorato dell'università. Lo sciopero della cultura si muove con il corteo e poi prosegue nell'assemblea tra i portici della struttura amministrativa. Negli interventi della gente che popola l'università di Torino, emerge la decisione dell'occupazione. C'è ancora il sole mentre qualcuno comincia a mangiare; tavoli vengono posti per animare una lezione, e lo studio. Ovunque, spazi di incontro.
Nel tardo pomeriggio, con il buio viene preparata la polenta, si comincia a suonare, e l'afflusso di gente aumenta.
Nella notte rimangono aperte due stanze in cui gli occupanti ritagliano spazi per il sonno, tra banchi, piastrelle e cartoni.
La mattina di ieri (il giorno dopo la manifestazione) la nebbia copre il cortile del rettorato. Alle due del pomeriggio, l'assemblea decide di interrompere l'occupazione. A partire dai prossimi incontri nei corridoi e nelle aule autogestite delle facoltà, la mobilitazione torinese si spinge verso il 26 e 30 novembre, giornate di pressione al rettore. Ciò che si vuole, è ottenere una forte presa di posizione contraria al ddl Gelmini del rettore Pelizzetti, oppure le dimissioni.
Continuano gli incontri.
Rughe

17.11.09

T.2: insegnanti d'eccezione


Ieri alle ore 17.30 nell'aula magna dell'università si è tenuta una conferenza dal titolo: Italia, rissa continua. Come se ne esce? organizzata dall'Ass.im.p. (Associazione fra Imprenditori e Professionisti). Gli ospiti invitati alla conferenza erano: il direttore de Il giornale VittorioFeltri e il sindaco di Verona Flavio Tosi.
L'aula era affollata di persone dai 40 anni in su...tutti imprenditori berlusconiani che applaudivano ad ogni scemenza detta da Feltri e da Tosi. Dopo un'ora e mezza abbondante di monologo/dialogo dei due ospiti avrebbe dovuto esserci un dibattito. Noi studenti (eravamo in una trentina presenti) quando è stato dato il via al dibattito ci siamo avvicinati tutti insieme al palco e uno di noi ha preso la parola. Ma non è riuscito a parlare nemmeno 5 secondi perchè tutti i presenti hanno cominciato a fischiare e scalpitare come pazzi indemoniati e, gridandoci insulti di ogni genere, hanno lasciato l'aula. Nel giro di pochi minuti in aula eravamo rimasti solo noi, la digos (che ha cercato in tutti i modi di prenderci i documenti non si sa perchè...) e Tosi.
Avrei voluto fare un intervento, ma mi è stata negata la possibilità da un branco di personaggi in giacca e cravatta, tanto eleganti e puliti ma che il rispetto non sanno neanche dove sta di casa.
Perciò scrivo qui in poche parole quello che avrei voluto dire.
Partiamo dalle affermazioni fatte da Feltri su Berlusconi, ovvero che Berlusconi non ha mai avuto processi e non è mai stato indagato prima della sua discesa in campo nel '94 e che ora come ora fa bene a cercare di bloccare i suoi processi per riuscire a governare. Innanzitutto su Berlusconi hanno cominciato ad indagare nel 1979 (nel novembre Silvio Berlusconi riceve la visita di tre ufficiali della Guardia di Finanza nella sede dell'“Edilnord Cantieri Residenziali” s.a.s, società intestata a Umberto Previti ma di cui Berlusconi era proprietario unico. Nonostante ciò, agli agenti risponde di essere «un semplice consulente esterno addetto alla progettazione di Milano 2»; i militari, pur avendo riscontrato più di un'anomalia nei rapporti tra lo stesso Berlusconi e misteriosi soci svizzeri, chiudono così l'ispezione). Successivamente nel 1983 i telefoni di Berlusconi furono messi sotto controllo nell'ambito di un'inchiesta per traffico di stupefacenti. L'indagine fu archiviata nel 1991. Vi è poi un processo per falsa testimonianza alla fine degli anni'80. (Per ulteriori informazioni sulla questione: http://it.wikipedia.org/wiki/Procedimenti_giudiziari_a_carico_di_Silvio_Berlusconi e http://www.berluscastop.it/_und/silvio_it3.htm).
E poi io mi chiedo: perchè una persona che è imputata in vari processi può scegliere di farsi bloccare quei processi? Io non voglio essere governata da un delinquente (o presunto tale). Una persona ha diritto a governare se e solo se, dopo essersi sottoposta ai processi, viene dichiarata innocente. Perchè Berlusconi deve essere lasciato libero di governare in pace? Che discorsi sono? È evidente che il famoso art 3 della costituzione non vale più: dire che Berlusconi ha il diritto a governare in pace è come affermare: “Voglio che la legge NON sia uguale per tutti”.
Tosi e Feltri hanno più volte ribadito che non è civile fare accuse personali (nei confronti di Berlusconi) perchè è scorretto e irrispettoso. Ma, se chi ha processi in corso è Berlusconi, come posso evitare di rivolgermi a lui personalmente quando parlo dei SUOI processi? Non posso cambiare il soggetto in questione, non posso dire: “i politici del Pdl non vogliono presentarsi in tribunale”. Se io mi mettessi a distruggere le finestre dell'università, poi non si potrà dire “gli studenti di Verona spaccano le finestre dell'università”, ma si dirà “la studentessa Pinca Pallina distrugge le finestre dell'università”. E non sarebbe un attacco alla studentessa Pinca Pallina, ma la verità. Ma Berlusconi poverino è vittima di continui e incivili attacchi alla sua persona.....
Un'altra affermazione che ha richiamato la mia attenzione è stata quella di Tosi quando dice che si può essere amici nella vita di tutti giorni con un avversario politico: in aula ci si fa la guerra perchè si hanno due visioni politiche opposte, ma fuori si può benissimo essere amici. Insomma, nella visione di Tosi c'è un totale scollamento tra vita e politica. Ma la politica non dovrebbe riguardare le azioni di tutti i giorni? Non ha ha che vedere con le nostre vite? Un'idea politica non ci condiziona in tutto quello che facciamo? Oppure la politica è qualcosa che non ha nulla a che vedere con la concretezza della realtà? Insomma, lo spazio della politica è solo nei palazzi sede delle istituzioni e non ha nulla a che vedere con quello che avviene fuori, nella società. Ma allora di cosa si discute in quei palazzi? Di aria fritta? Di concetti, leggi e decreti astratti? Tanto poi fuori andiamo a berci una birra tutti insieme e la politica là lasciamo là dentro...torneremo ad occuparcene domani, nell'orario di lavoro.
Eppure loro decidono della mia vita in quelle aule, nel momento in cui promulgano una legge.
E le mie idee politiche mi accompagnano ogni giorno e mi fanno agire in una determinata maniera piuttosto che in un'altra.
Politica e vita sono davvero così staccate?
Per concludere vorrei soffermarmi un attimo sul titolo della conferenza: Italia, rissa continua. Come se ne esce? Rissa = lite violenta, con scambio di insulti e percosse, tra più persone. Non si è minimamente parlato di rissa in questo comizio (sicuramente il termine comizio è più adatto di conferenza). Si è solo parlato di quanto Berlusconi, poverino, venga ogni giorno attaccato ingiustamente e pesantemente da Fini, dalla sinistra, dai magistrati e dalla corte costituzionale così palesemente antiberlusconiana.
Non si è parlato di Nicola Tommasoli ucciso da tre ragazzi veronesi lo scorso anno.
Non si è parlato delle violenze subite da 4 persone dell'ex centro sociale di Verona La Chimica qualche anno fa ad opera di tifosi ultrà dell'Hellas.
Non si è minimamente parlato di Stefano Cucchi, ucciso in carcere in circostanze “misteriose”.
Non si è minimamente parlato dell'uccisione di Mariano Bacioterracino al quartiere Sanità di Napoli.
Sono indignata per lo scempio a cui ho assistito ieri all'università. Sono indignata con il rettore Mazzucco, il quale, oltre a non aver informato gli studenti di questa conferenza (nel sito dell'università non c'è traccia infatti dell'evento), se n'è andato appena noi studenti abbiamo iniziato a radunarci in vista del dibattito.

Marti

17.11.09

La riforma dei professori scomparsi

Un anno è ormai passato da quando i vari corsi dell'Università degli Studi di Verona son stati riformati. Ma è solo da quest'anno che son scomparsi molti professori. Scomparsa dovuta ad un trasferimento in terra padovana.
Risultato? Molti studenti con esami da recuperare non si ritroveranno più il professore con cui far l'esame. In alcuni casi né il professore né tantomeno il corso specifico visto che la riforma, oltre a far sparire alcuni professori ha anche fatto sparire molti corsi. Onde evitare di arrivare
impreparati fra qualche mese di fronte all'iscrizione agli esami, sarebbe meglio che ognuno si controllasse gli esami ancora da dover ancora sostenere e soprattutto se il corso esiste ancora dopo la riforma dei corsi di laurea. Nel caso conviene inviare immediatamente un mail al professore interessato per sapere se sarà presente nelle prossime sessione d'esame. Visto che non tutti i nostri docenti hanno familiarità con l'email prima si fa meglio è
Matte

17.11.09

Centri sociali, si va verso lo sgombero ma con gradualità

Della vaccinazione negli spazi dell'apparenza

"Torino 16 Novembre 2009
Hanno deciso
Vogliono sgomberare tutti i posti occupati torinesi.
Lo faranno con gradualità.
Lo hanno deciso questa mattina in prefettura dove le istituzioni si son riunite in quello che si chiama Comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza."
(Tuttosquat)

A partire dallo spazio dell'apparenza, o meglio degli spazi. Considerandoli ora come il tessuto relazionale dell'incontro, dell'azione e della parola. L'insieme delle com-presenze nel medesimo spazio. Pluralità.
Come si arriva alla vaccinazione (prologo allo sgombero dello spazio)?
Esclusione. Non si tratta qui di una esclusione dal terreno dell'istituzione. L'occupazione è processualmente esclusa dal divenire onnipresente del marchio istituzionale-culturale della città. Quando la relazione, lo scambio interpersonale diviene luogo di intervento della macchia di governo, si produce in questo un elevato rischio di affezione. In altre parole, i discorsi più specificatamente informali, nelle piazze, nelle vie, nei mercati della città, nelle tavole domestiche, divengono luogo di insediamento del discorso terapeutico del governo. Questo si incolla alle parole dei 'cittadini' negli scambi quotidiani. L'occupazione (con gli occupanti) diviene da vicina (vicino/vicinato) germe estraneo. Il lebbroso. L'esclusione.
Incasellamento. Si tratta del taglio descrittivo, la sezione dell'esclusione. In questo procedimento chirurgico, i burocrati della governance cittadina, illuminano gli spazi precedentemente esclusi. Inscritta nell'illuminazione è l'idea di una proposizione didascalica del lebbroso. Quali i segni sul corpo, quali le pericolosità ed i contagi. Il secondo momento del procedimento di messa-in-caselle dell'esclusione, è quello della riduzione in opposizioni binarie (sano-malato, legale-illegale, cittadino-occupante). Ci sono una donna ed un uomo, di passaggio nella piazza, davanti all'assemblea di occupanti, storcono il naso: "sono brutti da vedere". Il controllo della peste.
Anestesia. La domenica mattina "con gradualità", giorno di riposo. Il cittadino "con gradualità" dorme, la notizia arriverà domani, lunedì mattina. Dormendo "con gradualità" in auto.
Vaccino. «Rimanete con la vostra famiglia perchè non c'è posto più sicuro per proteggervi dalla febbre suina.» (Felipe Calderon, presidente Messico, 30aprile09). Nel momento in cui accade il vaccino, gli spazi dell'apparenza (l'apparire plurale degli uomini) rimangono vuoti. L'intervento sanatorio dovrà essere totale. Il germe è in potenza molteplicità di apparenza, energia, potere.
Agostino Ghiglia (deputato PDL), sulle occupazioni torinesi: "L'unica cura è la tolleranza zero." Agitazioni.

Rughe




17.11.09

Blocchiamo la riforma

Torino, oggi il corteo dell'istruzione. Dagli studenti medi all'università, con docenti e lavoratori. Dalle 9 a partire da piazza Albarello per "bloccare la riforma dell'Università".
Quella di oggi, sotto il nome di sciopero della cultura, vorrebbe essere una forte risposta al via libera del Consiglio dei Ministri al disegno di legge (28 ottobre). Ciò che si manifesta nel documento ministeriale, è un piano di modifica "universitaria" a partire dalla governance (il Cda assume il funzionamento di indirizzo strategico e finanziario; sarà composto per il 40% de esterni-privati). A seguire, la sostituzione (per sparizione) delle facoltà -didattica- per i dipartimenti - ricerca-; la possibilità di federazione -federalismo(?)- tra atenei o atenei ed enti di formazione; istituzione del fondo per il merito (test standard per borse di studio e prestiti d'onore); abilitazione nazionale per la docenza (a cui segue la concreta valutazione d'assunzione in commissioni di ateneo); ricercatori a tempo esclusivamente determinato (3 anni + 3, oltre cui 1) si diviene professore associato, 2) si smette di lavorare).
Se la protesta rimanesse ora ferma l'Università rimarrebbe ancorata alla propria "gestione feudale", arrancando all'ombra di un virtuosismo spettrale, privata nei suoi spazi.
Rughe

12.11.09

Appello in difesa dell’università pubblica

Noi, docenti universitari di ruolo attivi in diversi atenei e facoltà, seguiamo con crescente apprensione le vicende dell’università italiana e le scelte assunte in proposito dal governo in carica. Oggi decidiamo di prendere pubblicamente la parola dopo avere letto il ddl di riforma dell’università approvato dal consiglio dei ministri lo scorso 28 ottobre, un progetto che ci sembra giustificare le più vive preoccupazioni soprattutto per quanto attiene alla governance degli atenei (per il previsto accentramento di potere in capo ai rettori e a consigli di amministrazione non elettivi, fortemente esposti agli interessi privati) e per ciò che concerne la componente più debole della docenza: decine di migliaia di studiosi, giovani e meno giovani, che da molti anni prestano la propria opera gratuitamente o, nel migliore dei casi, in qualità di assegnisti o borsisti, nel quadro di rapporti di collaborazione precari.
Le novità che il governo prospetta in materia di governance degli atenei ci paiono prive di qualsiasi ambizione culturale e di ogni volontà di risanare effettivamente i problemi dell’università pubblica, e ispirate esclusivamente a una logica autoritaria e privatistica, tesa a una marcata verticalizzazione del processo di formazione delle decisioni a discapito dell’autonomia degli atenei. Riteniamo che l’università debba cambiare, ma occorre a nostro giudizio procedere in tutt’altra direzione, salvaguardando il carattere pubblico dell’università e favorendo la partecipazione democratica di tutte le componenti del sistema universitario.
Quanto previsto per la vasta area del precariato ci sembra profondamente iniquo e irrazionale, tale da mettere a repentaglio la funzionalità di molti dipartimenti. I tagli alle finanze degli atenei e la nuova normativa per l’accesso alla docenza preludono all’espulsione in massa dal sistema universitario di persone meritevoli, stimate anche in ambito internazionale, che da tempo lavorano nell’università italiana, tra le ultime in Europa per quantità di docenti di ruolo e tra le più sfavorite per rapporto docenti/studenti. Al di là della retorica sul valore strategico della conoscenza e della ricerca, il governo – ostacolando i nuovi accessi, conservando le vecchie logiche baronali e non introducendo alcuna misura preventiva contro il malcostume accademico – pianifica un enorme spreco di risorse finanziarie, impiegate per la formazione di tanti studiosi ai quali sarà impedito l’accesso ai ruoli dell’università, e una perdita secca in termini di capacità, competenza ed esperienza, che rischia di determinare un incolmabile divario tra l’Italia e i Paesi più avanzati.
Chiediamo al governo di fermarsi, ma ci rivolgiamo anche al mondo universitario affinché faccia sentire la propria voce e manifesti con forza le proprie ragioni e preoccupazioni. Non difendiamo lo status quo: invochiamo una riforma seria che ampli gli spazi di partecipazione, salvaguardi il carattere pubblico dell’università e tuteli l’autonomia della didattica e della ricerca. Non ignoriamo l’esigenza di verificare la qualità dell’insegnamento e del lavoro scientifico di ciascun docente: esigiamo l’adozione di rigorose procedure di valutazione, non graduatorie improvvisate e funzionali a campagne di stampa più o meno denigratorie, ma criteri oggettivi, adeguati alle diverse specificità disciplinari e capaci di rilevare anche i pregi, internazionalmente riconosciuti, della ricerca italiana. Non auspichiamo un reclutamento ope legis: chiediamo lo stanziamento delle risorse necessarie a consentire l’accesso ai ruoli, previo concorso, di quanti abbiano acquisito, negli anni del precariato, comprovate competenze e attitudini professionali.
L’università pubblica non può essere governata in modo autoritario né gestita con criteri ragionieristici. Il lavoro di quanti ne garantiscono l’attività deve essere riconosciuto e tutelato. La conoscenza è una risorsa del Paese e un diritto fondamentale che la Costituzione riconosce a ciascun cittadino della Repubblica.

A breve aprirà il sito: www.perluniversitapubblica.it
Per adesioni: perluniversitapubblica@gmail.com

da http//www.ateneinrivolta.org/


12.11.09

Non importa...

“L’omofobia e’ una malattia dalla quale si può guarire” è una delle frasi ad effetto della nuova campagna contro l'omofobia promossa dal Ministero delle Pari Opportunità. E' proprio di questi giorni l'uscita del nuovo spot televisivo dal titolo “Rifiuta l'omofobia, non essere tu quello diverso”.
L'intento generale pare essere quello di promuovere una cultura non omofobica e tollerante. Ma in realtà lo spot ci sembra l'ennesima riprova della politica di questo governo fatta di immagini e frasi ad effetto ma con poca sostanza e prive di un'effetiva messa in pratica. Inoltre se andiamo ad analizzare i contenuti proposti in questo video notiamo un uso del concetto di “diverso” che solleva alcune problematiche. Lo spot ci suggerisce che “nella vita certe differenze non devono contare” come dire da una parte tu omosessuale nascondi la tua sessualità, d'altra a te eterosessuale non ti deve interessare l'orientamento sessuale della persona che hai davanti. Pare che il concetto di uguaglianza debba implicare un annullamento delle differenze viste sempre come negative. D'altra parte lo spot è ambientato in una situazione di emergenza nella quale le persone coinvolte vittime di un incidente hanno bisogno di assistenza medica. In questa situazione di certo non ti interessano le tendenze sessuale di chi eventualmente ti salva la vita proprio perchè devi usufruire di un servizio o competenza. Ma inserite/i nella reale relazione con un'altra persona quella crocetta sul “non importa”ha delle ripercussioni. Perchè non arricchirci attraverso i racconti di una persona che ha esperienze diverse dalle mie?Perchè nascondere le differenze?
Anche nell'ultimo slogan “non essere tu quello diverso”(non interessarti alla diversità) emerge una concezione della differenza come un qualcosa di esclusivamente negativo da cui fuggire.
Come a suggerire allo spettatore che se vuole essere (o rimanere) normale non solo non deve esprimere la sua omofobia ma nemmeno interessarsi all'orientamento sessuale di chi gli sta intorno.
Insomma, se la normalità prima era l'essere eterosessuali ora è l'essere totalmente indifferenti.
Resta il fatto che in questo paese gli omosessuali e transessuali vengono discriminati sia nella vita quotidiana che a livello legislativo ed istituzionale.
E' evidente che in Italia c'è una grande differenza tra il portare il 42/43 di scarpe e l'essere etero o omosessuali,no?

http://www.youtube.com/watch?v=tJuY9UTcluY&feature=popular

Marti e Lu

12.11.09

12.11.09

Strani comportamenti

“Ho ancora fiducia nell'esistenza di magistrati seri che pronunciano sentenze serie, basate sui fatti. Se ci fosse una condanna in processi come questi, saremmo di fronte a un tale sovvertimento della verità che a maggior ragione sentirei il dovere di resistere al mio posto per difendere la democrazia e lo stato di diritto”. Queste le parole di Silvio Berlusconi in merito ad alcuni processi in corso a suo carico. Ora di solito quando una persona ha in atto qualche processo e sa di essere innocente concentra tutte le sue attenzioni ed energie allo scopo di dimostrare la propria innocenza. Se sei colpevole invece sai di essere in trappola quindi ti riposi abbassi la guardia, pensi ad altro, ti metti a fare il Presidente del Consiglio. Certo bisogna concedere il beneficio del dubbio e non c'è condanna se non c'è sentenza, c'è solo accusa. Se però uno ricopre certe cariche ed è accusato di qualcosa, qualsiasi cosa, per difendere la propria immagine dovrebbe fare di più per scagionarsi. Soprattutto se dichiara di essere innocente.

Matte

12.11.09

Procedimenti giudiziari

- Indagine su rapporti con società svizzere
- Traffico di droga
- Falsa testimonianza
- Tangenti alla Guardia di finanza
- Processo All Iberian
- All Iberian 1 (finanziamento illecito al PSI)
- All Iberian 2 (falso in bilancio aggravato
- Processo Lentini (falso in bilancio)
- Medusa cinematografica
- Falso in bilancio nell'acquisto dei terreni di Macherio
- Lodo Mondadori
- Processo SME
- Processo SME, capo di accusa A
- Spartizione pubblicitaria Rai-Fininvest
- Tangenti fiscali sulle pay-tv
- Stragi del 1992-1993
- Concorso esterno in associazione mafiosa
- Diffamazione aggravata dall'uso del mezzo televisivo
- Telecinco (in Spagna)
- Caso Saccà
- Compravendita diritti televisivi
- Voli di Stato

“Anche se condannato non mi dimetto”
Silvio Berlusconi

12.11.09

Torino. Assemblee e Mobilitazione

Lo spostamento dal Politecnico a Palazzo Nuovo

Inaugurazione dell'anno accademico interrotta al Politecnico. Nel corso della mattina di ieri, studenti e precari sono intervenuti alla dimostrazione didattica del marchio universitario (accompagnato dalla presenza della Fiat). Davanti al dispiegamento di forze d'ordine pubblico, "Niente da festeggiare, niente da inaugurare", le parole-contro della mobilitazione. Quando si conclude l'ospitalità ai vertici dell'azienda italica di automobili, dissolve anche il presidio poliziesco di difesa. In questo modo, nel flusso tra gli abiti-digos, la protesta raggiunge l'aula magna, teatro dell'inaugurazione.
"In alcune lezioni già gli studenti seguono un video", si ricorda nell'assemblea dell'atrio di Palazzo Nuovo (martedì pomeriggio), Politecnico, università virtuosa.
Pronto Palazzo Nuovo. Si muovono collettivi ed autonomi nell'università, preparando la giornata di martedì prossimo, lo Sciopero della Cultura. Nello sfondo della diffusione delle idee del DDL Gelmini e le riflessioni sulle criticità del programma di riforma (eufemismo) gli studenti continuano ad incontrare lavoratori, ed incontrare loro stessi.
Rughe

10.11.09

MIUR: 65.000 euro la condanna alle spese

Altri 7.000 docenti precari dovranno essere iscritti a pettine nelle graduatorie provinciali. TAR Lazio commissaria nuovamente il ministro Gelmini su richiesta dell’ANIEF.

Ad un mese dal primo commissariamento, mentre il Decreto Legge 134/09 sui precari è ancora in discussione al Senato con le modifiche volute dal Ministro Gelmini per sfuggire alle pronunce della magistratura, dopo che i giudici del Consiglio di Stato hanno respinto altri due appelli del MIUR (nn. 5338-5339 del 27.10), i giudici del Tar Lazio accolgono le nuove richieste di ottemperanza delle ordinanze positive ottenute dai legali dell’ANIEF (avv. Ganci, Miceli e Tarsia), avviano altre 13 procedure di commissariamento del MIUR (nn. 5140-5150/09, 5177-5178 del 6.11) per inserire a pettine nelle graduatorie gli oltre 7.000 docenti patrocinati dall’ANIEF, ovvero in base al loro punteggio maturato senza alcuna riserva, e condannano al pagamento delle spese di lite, pari a 65.000 euro, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Dopo il commissariamento del 9 ottobre (n. 4581/09), il Ministro per correre ai ripari aveva proposto di modificare il Decreto legge sulla continuità didattica, in corso di esame in un ramo del Parlamento. La Camera dei Deputati ha così approvato un emendamento (comma 4bis dell’articolo 1) che, però, nel collocare in coda i docenti inseriti in altre province per il biennio 2009-2011, ha disposto esattamente l’opposto per l’avvenire, fornendo un’interpretazione autentica in tema di trasferimenti nelle graduatorie ad esaurimento, che autorizza lo spostamento a pettine in altra provincia nel 2011-2013, così come avvenuto nel 2007-2009, e così come la giurisprudenza ha avuto modo di interpretare correttamente. E’ chiaro, dunque, - dichiara il presidente Marcello Pacifico -, che, nonostante la trasformazione delle graduatorie da permanenti ad esaurimento, il legislatore continua ad autorizzare il trasferimento all’atto dell’aggiornamento delle graduatorie e a pettine come la legge 143/2004 impone. Allora perché nel 2009, il ministro ha impedito il trasferimento? E’ evidente che una norma, apparentemente incoerente, tesa a soltanto a bloccare le corrette decisioni dei giudici riguardanti le vigenti graduatorie sarebbe non conforme ai più elementari principi costituzionali (art. 1, 51, 97), porrebbe un conflitto tra poteri dello Stato e creerebbe un ulteriore contenzioso destinato soltanto a pesare sulle tasche dei contribuenti, proprio mentre si tagliano le cattedre per risparmiare gli sprechi.
Nel frattempo, dal 9 novembre i primi 300 ricorrenti saranno inseriti a pettine dal commissario ad acta nelle graduatorie di tutte le province italiane. Speriamo che quest’ennesima pronuncia della giustizia amministrativa sia finalmente da stimolo per una corretta gestione delle graduatorie ad esaurimento, nel rispetto delle più elementari regole del buonsenso, della nostra legislazione e della nostra Costituzione.
Bisogna stabilizzare tutti i precari per assicurare la continuità didattica. E’ necessario garantire al personale precario gli stessi diritti del personale di ruolo come una direttiva del 1999 dell’Europa ci impone.
E’ doveroso assegnare un contratto a tempo indeterminato, nel rispetto della legge, per quei 67.000 docenti inserite nelle graduatorie viste le 100.000 cattedre date in supplenza ogni anno.
E’ opportuno sbloccare i 4.000 concorsi per ricercatore a tempo indeterminato promessi, senza precarizzarne la figura con l’istituzione dei contratti a tempo determinato.
E’ giusto favorire la mobilità di tutti i docenti come stabilito dai contratti collettivi vigenti. Soltanto così si possono dare le prime risposte all’enorme precariato che gravita intorno alla conoscenza e che dovrebbe costituire una risorsa e non un peso per il nostro Paese. Per tutte queste ragioni abbiamo proclamato uno sciopero del personale docente delle scuole per l’intera giornata del 9 novembre 2009.

(anief)

10.11.09


All alone, or in twos
The ones who really love you
Walk up and down outside the wall
Some hand in hand
Some gathering together in bands
The bleeding hearts and the artists
Make their stand
And when they've given you their all Some stagger and fall after all it's not easy banging your heart against some mad buggers
Wall

10.11.09

Ladri di tempo, ladri di pazienza

Quest'estate qualcuno ha sottratto gli assegni per il rimborso tasse ai borsisti veronesi. Gli assegni fortunatamente non sono stati incassati, a quanto pare, poiché son nominativi e non trasferibili, quindi i soldi ci sono ancora. Il problema è che nessuno sa come fare ad ottenere nuovamente l'assegno per poter incassare il rimborso. A complicare ulteriormente le cose ci si è messo anche l'ateneo veronese che quest'estate ha cambiato banca di riferimento, questo, oltre ad allungare i tempi burocratici ha fatto si che non si sappia da chi andare a chiedere l'assegno. In segreteria studenti sono a conoscenza del problema ma, non sanno dove indirizzarti e si limitano a dirti di scrivere al Rettore e all'Unicredit e di avere pazienza e sperare e che prima o poi i soldi arriveranno. Peccato che la speranza e la pazienza non siano moneta di scambio. Speranza e pazienza che tra l'altro stanno scemando pian piano visto che non sapendo dove andare si continua a girare inutilmente per uffici alla ricerca di qualcuno che sappia rispondere alla fatidica domanda: come faccio ad avere i miei soldi?

Matte

10.11.09

«Cucchi era in carcere perchè era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perchè pesava 42 chili». «la droga ha devastato la sua vita, era anoressico e tossicodipendente». «sono migliaia le persone che si riducono in situazioni drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così». Queste sono alcune parole del sottosegretario Giovanardi, l'uomo che hanno ritrovato questa notte disteso su un sacco blu. Aveva la pelle attillata alle ossa, con ecchimosi ovunque, il volto gonfio, la mandibola fratturata e l'occhio sinistro distrutto. Riportava lesioni sulla regione palpebrale, su quella sacrale e sugli arti inferiori.
ale

10.11.09

Torino. Verso il 17 novembre

Palazzo Nuovo. Nell'atrio, oggi pomeriggio (martedì), si è accesa una assemblea contro il DDL Gelmini (tracciato all'ombra e nel profondo del solco scavato un anno fa dalla legge - tagli - 133). Nel rapido divenire buio dell'università, si interviene al microfono nei punti critici del disegno di legge: 1) governance, 2) meritocrazia, 3) virtuosità. Proprio qui la criticità del movimento di legislazione (nella fase attuale di proposta) mette in mostra il collage economico-culturale che si sovrappone alla distinzione dei termini di ragionamento. Ciò che accade è, in altre parole, la capacità gelminiana di parlare insieme di meritocrazia e virtuosità riferendo al miscuglio di sapere e bilancio che perversamente si crea.
Tentativo 17 Novembre. studenti-lavoratori di università e scuole cammineranno per le strade delle città. A Torino si partirà da piazza Albarello, ore 9. Oggi, a Palazzo Nuovo, si è allargata in assemblea la rete di movimentazione.

10.11.09

Torino. "Chi non occupa preoccupa"

In cammino dall'Asilo al Lostile attraverso Porta Palazzo

LUNEDI' 9 NOVEMBRE. Resoconto dibattito comunale sugli sgomberi

Sabato mattina. Ritrovarsi, dopo una rapida lettura in internet, nel cerchio dell'assemblea all'Asilo. Il messaggio ricevuto online è "Vogliono sgomberare l'AsiloSquat!" La scritta in rosso è condizione per accelerare il cammino verso/negli spazi di Torino, a seguito dello spunto delle Scarpe dei Suicidi. Sabato mattina, l'Asilo.
Assemblea. Attorno al tavolo, sopra le sedie, le persone attratte dall'urgenza della minaccia di un ulteriore possibile sgombero (Il VelenaSquat, palazzina dei vigili occupata il 28 febbraio, è stato sgomberato il 20 ottobre). Si dialoga sul piano (ministeriale piuttosto che comunale) di cancellazione delle diverse autogestioni negli spazi torinesi. Poi le prospettive di intervento. Ed ancora il corteo del pomeriggio.
Il Corteo. Si raggiunge, sotto la copertura delle nuvole, via Borgo Dora. Nel raggiungere il mercato del Baloon, addosso al muro di destra si legge una scritta, "Baleno e Sole suicidi ad alta velocità". In un attimo ritorna prepotentemente in mente il riferimento primo di questo (im-personale) cammino, nuovamente le Scarpe dei Suicidi.
La svolta a sinistra, la salita e poi lungo corso Giulio Cesare fino in Piazza della Repubblica. La gente ai lati del corteo osserva e riceve i fogli che parlano della minaccia di sgombero. Piazza Palazzo di Città, sotto l'edificio del comune.
Lostile Occupato. Venerdì sera, alcune ore prima dell'incontro all'Asilo, in corso Regina Margherita, appoggiando al muro del centro sociale Askatasuna, la pelle tocca della colla messa da poco; fresca. Il manifesto attaccato parla del Lostile. La mattina di sabato rivelerà la notizia di una nuova occupazione in città. Alcuni ragazzi aprono uno spazio autogestito.
Torino. Nel momento in cui una città industriale, perde parte della propria capacità di fabbricazione, diventa luogo di spazi vuoti. Luogo in cui prolificano spazi svuotati dal contenuto di lavoro e fabbricazione (anteriormente) interni. Anche i luoghi pubblici perdono il transito di coloro che iniziano a spopolare la città.
Qualcuno intanto occupa ed autogestisce.
Lo sgombero sembra fondarsi, ora a Torino, sul principio di disuguaglianza di diritto per cui coloro-da-sgomberare sono coloro-che-si-appropriano indebitamente di un luogo. Eccesso di diritto e finzione.
Ciò che rende uno spazio vuoto un luogo (aggiunta di interesse, proprietà) è la nominabilità dello stesso, l'identificazione nel linguaggio (in questo caso specificamente del commercio).
L'accesso di Torino nel mercato delle sigle metropolitane globali avviene attraverso il suo proprio nome. E' così che il divertimento diviene Movida e Murazzi; la TAV fagocita il piano-trasporto; gli impianti per gli eventi collettivi divengono olimpici (Torino 2006). E mentre qualcuno si lusinga della metropolitana e della pulizia cittadina, altri si incontrano all'Asilo, impedendo il divenire marchio-proprietà-nome dello spazio. Impedire lo sgombero.

Rughe

5.11.09

E tutti andarono a trans

I media impongono la moda o sono le persone ad imporre ai media un certo tipo di “prodotto”? O le due cose si alimentano reciprocamente? Da quando è scoppiato lo scandalo Marazzo in televisione, che sia un telegiornale, un programma di approfondimento o quant'altro, si vedono e si parla esclusivamente di trans. È come quando ascolti per la prima volta una canzone che ti piace, dopo non puoi far altro che ascoltarla e riascoltarla fino a quando l'attenzione scema pian piano o subentra un brano che ti colpisce ancora di più. Sembra che al momento oltre ai trans non ci sia più nulla al mondo di cui parlare, almeno in Italia. Tutti i programmi televisivi hanno come ospite fisso un trans, non importa che sia legato in modo diretto con il caso dell'ormai ex Governatore della regione Lazio, basta che abbia quel piccolo particolare genetico da rientrare nella categoria trans. Tutta questa
situazione mi fa venire in mente una puntata dei Simpson, a proposito auguri per i loro primi vent'anni e grazie Matt Groening, in cui Homer viene accusato di molestie sessuali da una baby­sitter e i media iniziano ad intervistare qualsiasi bambinaia che, pur non conoscendo il padre della famiglia Simpson, lo etichetta come un mostro.
Sembra quasi di assistere al messaggio dell'ultimo dell'anno del Presidente della Repubblica, trans a reti unificate! Dopo escort nel centro destra, trans nel centro sinistra, se tanto mi da tanto il prossimo sarà uno dell'UDC che va con i gay? Solo il tempo ce lo potrà dire ma, in ogni caso la televisione sarà pronta ad accappararsi il nuovo “fenomeno” del momento.

Matte

5.11.09

5.11.09

Il vaccino dalle uova d'oro

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza. Comunicato n. 94/09 del 30 ottobre 2009, San Ponziano. Il vaccino dalle uovo d’oro, di Rita Pennarola.

Sorpresa: nei grandi ospedali per malattie infettive buona parte di medici in servizio non intende vaccinarsi contro il virus della Suina. Succede al Cotugno di Napoli. E non solo. Vediamo perchè.
Se, come dimostrano i numeri, i colossi del farmaco, dall’alto del loro mezzo biliardo di dollari e passa all’anno di fatturato, superano di gran lunga l’invincibile industria delle armi, non risulta poi così difficile capire perchè periodicamente, con cadenza ormai “regolare”, scoppia l’allarme mediatico sulle pandemie che, come altrettanti Armageddon, stanno arrivando a flagellare il pianeta, mietendo milioni di vittime e rendendo perciò’ più che mai invocato l’arrivo di specifici vaccini. Virus creati in laboratorio proprio per far nascere la necessità di contrastarli, mantenendo su livelli altissimi le corazzate quotate in Borsa? E, in ogni caso, quali conseguenze potranno avere sulla salute umana prodotti a base di virus, realizzati molto spesso sull’onda dell’emergenza, ma destinati alla profilassi di massa su scala mondiale (quest’anno da novembre in poi)? Quasi “naturale”, allora, che dopo gli allarmi globalizzati sul virus dell’antrace (2001) e sull’influenza aviaria (che nel 2005 vide l’allora ministro della Salute Francesco Storace lanciato all’acquisto di dosi da milioni di euro, poi di fatto mai utilizzate perchè nel frattempo il virus era “mutato”), oggi dovesse arrivare una ennesima “maledizione biblica”. Terrorizzante, per la maggior parte dell’umanità, ma, per qualcun altro, provvidenziale.

Sulla influenza A o ³suina² – quel virus H1N1 che sta tenendo col fiato sospeso buona parte dell’umanità, fra propaganda dei governi, complicità dei grandi media nelle mani degli stessi colossi farmaceutici, ma anche fra leggende metropolitane e falsi scoop – cominciano oggi a farsi strada le prime, rigorose ricostruzioni che, dati scientifici alla mano, lasciano filtrare le terribili verità alla base dell’allarme planetario. Perciò, nelle stesse ore in cui la Agenzia europea per il controllo sui farmaci da’ via libera ai primi due vaccini anti-pandemia, che saranno prodotti da Novartis e GlaxoSmithKline, arrivano impietosi dossier come quello di Luciano Gianazza, autore di numerosi libri che smascherano il dietro le quinte affaristico della medicina contemporanea. Il quale oggi parla di questi vaccini come delle nuove armi biologiche di distruzione di massa.

ACCHIAPPA LA SUINA

Dopo le prime avvisaglie della scorsa primavera, il clamore mediatico sulla suina esplode a giugno, quando la Organizzazione mondiale della sanità annuncia che la pandemia sarà di livello 6, vale a dire molto elevato, scatenando la corsa dei governi all’acquisto del vaccino. L’attività, nei laboratori, diventa da allora frenetica. Quali rischi comportano la fretta e la conseguente, possibile approssimazione? «Alle multinazionali del cartello Big Pharma (GlaxoSmithKline, Baxter, Novartis e altre) – punta l’indice Gianazza – è stato assicurato che non vi sarà contro di loro alcun ricorso per eventuali morti o gravi danni che questi vaccini possono causare». Ancor più esplicito il movente economico: «la Novartis – fa sapere Gianazza – ha raccolto ordinativi gia’ da trenta diversi Paesi. Solo dagli Usa riceverà 346 milioni di dollari per l’antigene e 348,8 milioni per un adiuvante. La Baxter ha ordini da cinque Paesi per 80 milioni di dosi, ma non ha ricevuto l’approvazione della Food and Drug Administration, quindi venderà al di fuori degli Stati Uniti. GlaxoSmithKline ha ricevuto 250 milioni per la fornitura agli Usa di numerosi “prodotti pandemici”. Il totale degli ordini nei soli Stati Uniti ammonta a 7 miliardi di dollari». Numerose le sostanze tossiche, a partire dai cosiddetti adiuvanti, senza i quali i vaccini non potrebbero essere conservati nè mantenuti in forma stabile. Fra questi Gianazza enumera ad esempio «il thimerosal, conservante 50 volte più tossico del mercurio, che può provocare a lungo termine disfunzioni del sistema immunitario, sensoriali, motorie, neurologiche, comportamentali». GlaxoSmithKline, che ha sede a Londra, come adiuvante per i suoi vaccini usa anche un composto contenente alluminio, il cui uso, in certe dosi, è causa accertata di disfunzione cognitiva. C’e’ poi la formaldeide: una nota sostanza cancerogena e tossica per l’apparato riproduttivo. «Nel 2007 – continua Gianazza – la California ha utilizzato più di 30.000 tonnellate di questa sostanza cancerogena come microbicida sulle più importanti coltivazioni sparse nel suo territorio». Altro ingrediente comune ai nuovi vaccini è lo squalene, noto come sostanza che può provocare l’artrite reumatoide. E i ricercatori oggi associano l’uso dello squalene alla cosiddetta “Sindrome della Guerra del Golfo” che ha colpito migliaia di soldati americani con danni irreparabili al sistema immunitario, compresi sclerosi multipla, fibromialgia e, appunto, l’artrite reumatoide. Passiamo al secondo produttore, la Baxter International con casa madre a Chicago e una sede anche in Italia. Non si conoscono ancora fino in fondo le sostanze presenti nel nuovo vaccino, ma può essere utile dare un’occhiata a quelle che si trovavano nel prodotto contro il virus H5N1 dell’influenza aviaria. «Le cellule in coltura – si legge nel dossier di Gianazza – sono prese dalla “scimmia verde africana”. I tessuti prelevati da questa specie di scimmie sono stati in passato responsabili della trasmissione di virus, tra cui l’HIV e la poliomielite. La Baxter ha posto una richiesta di brevetto sul processo che utilizza questo tipo di coltura cellulare per la produzione di quantità di virus infettivi, che vengono poi inattivati con formaldeide e luce ultravioletta». Passiamo al terzo colosso, l’elvetica Novartis International AG con sede a Basilea e una propaggine in Italia, a Torre Annunziata, ai margini del fiume Sarno, il corso d’acqua tristemente famoso per essere uno fra i più inquinati d’Europa. Ed è proprio dalla Novartis che l’Italia avrebbe acquistato le sue dosi di vaccino anti-suina. Al pari della Baxter, la corazzata elvetica sta utilizzando una linea cellulare di cui è proprietaria (analoga a quella della scimmia verde) per far crescere i ceppi del virus, invece delle uova di gallina, come si era sempre fatto finora. Ciò permette all’azienda di ridurre drasticamente il tempo necessario per iniziare la produzione del vaccino, che ha preso la denominazione ufficiale di “Focetria”. Anche qui non mancano additivi come la formaldeide e il bromuro dicetiltrimetilammonio, un disinfettante utilizzato per sterilizzare utensili.

PARTICELLE KILLER

Altro allarme è quello lanciato dall’economista e politologo William Engdahl, collaboratore di testate come Asia Times e autore di libri sulla globalizzazione. A metà settembre il gruppo indipendente internazionale Global Research pubblica un articolo in cui Engdahl rivela la presenza di nanoparticelle nei vaccini per l’influenza H1N1. «Ora è saltato fuori – si legge – che i vaccini approvati per essere utilizzati in Germania e nei paesi europei contengono delle nanoparticelle in una forma che e’ risultata attaccare cellule sane e che può essere mortale». Il sistema era stato messo a punto nel 2007 dai ricercatori dell’Ecole Polytechnique Fe’de’rale de Lausanne i quali, in un articolo pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology, avevano spiegato: «queste particelle sono cosi’ sottili che, una volta iniettate, nuotano nella matrice extracellulare della pelle e vanno di filato ai linfonodi. Entro pochi minuti raggiungono una concentrazione di cellule D migliaia di volte maggiore che nella pelle. La risposta immunitaria può essere quindi estremamente forte». «C’è un solo – obietta Engdahl – piccolo problema: i vaccini che contengono nanoparticelle possono essere mortali o, come minimo, causare danni irreparabili per la salute». Le particelle di nanodimensioni – viene spiegato – si fondono con le membrane del nostro corpo e, secondo studi recenti condotti in Cina ed in Giappone, vanno avanti a distruggere le cellule senza sosta. Una volta che hanno interagito con la struttura cellulare, non possono più essere rimosse. «Dopo lo scandalo dell’amianto – incalza Engdahl – è stato appurato che particelle di dimensione inferiore ad un milionesimo di metro, per la loro enorme forza attrattiva, penetrano in tutte le cellule distruggendo tutte quelle con le quali entrano in contatto. E le nanoparticelle sono ben più piccole delle fibre di amianto. Prove effettuate a Beijing dimostrano gli effetti mortali sull’uomo». L’European Respiratory Journal, autorevole periodico destinato a medici ed operatori sanitari, nel numero di agosto ha pubblicato un articolo intitolato “L’esposizione alle nanoparticelle è correlata con il versamento pleurico, la fibrosi polmonare ed il granuloma”. Si riporta quanto avvenuto nel 2008 a sette giovani donne ricoverate presso il Beijing Chaoyang Hospital. Di età fra i 18 ed i 47 anni, erano state esposte a nanoparticelle per un periodo dai 5 ai 13 mesi sul posto di lavoro. Analoghi i sintomi: dispnea, versamento pleurico, liquido nei polmoni, difficoltà respiratoria. Gli esami hanno confermato che le nanoparticelle avevano innescato nei polmoni infiammazioni e processi di fibrosi, con presenza di granulomi nella pleura. Il microscopio elettronico ha permesso di osservare che le nanoparticelle si erano collocate nel citoplasma e nel nucleo delle cellule epiteliali e mesoteliali dei polmoni. «Il fatto che l’Organizzazione mondiale per la sanità, l’European Medicines Evaluation Agency ed il German Robert Koch Institute permettano oggi che la popolazione venga iniettata con vaccini ampiamente non sperimentati contenenti nanoparticelle – è la drastica conclusione di William Engdahl – la dice lunga sul potere della lobby farmaceutica sulle politiche europee».

(Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/inchieste1.php?id=236 del 29.10.2009; segnalato da: http://www.comedonchisciotte.org; pubblicato anche su: http://www.selese.org/ )

5.11.09

Assuefatti alle immagini...?

oQualcuno ieri scriveva che nella nostra epoca l'informazione si basa sull'immagine. Niente di più condivisibile, a patto che si prenda la frase nel suo senso letterale.
L'informazione si basa sulle immagini, esse sono la sua base e il suo pretesto, in qualche modo; anzi, senza esagerare, potremmo dire che l'immagine è il nutrimento
dell'informazione, che questa si alimenta costantemente di immagini: festino infinito della comunicazione in cui ogni informazione divora parassitariamente l'immagine sulla quale si innesta. Dopotutto, le immagini non hanno un senso (definito), non sono a lettura univoca forse non sono nemmeno leggibili. Nella loro opacità, le immagini necessitano di un'operazione che sappia portarle al chiarore della lettura, ma così rischiarate esse restano come invisibili sotto la luminosità accecante di ciò che si proietta su di esse. E' il problema della didascalia, così come del montaggio (le immagini di Ejzen tejn che dovrebbero docilmente sparire nel montaggio ideologico). L'immagine conta più della parola che la spiega e la rischiara solo fino al momento in cui quest'ultima non è stata in grado di catturarla, di appropriarsene e imbrigliarla, occultandola nelle pieghe del linguaggio. Forse non è l'immagine che conta in questa società dello spettacolo: essa funge solo da base, da materia prima, mentre in alto, assurta al rango che spetta al Senso, sta la didascalia ­ compiutezza dello spettacolo stesso. L'essere bombardati costantemente dalle immagini non è altro che il diretto corollario di questa preminenza della parola nella sua relazione con l'immagine. La prima necessita di un continuo consumo di immagini per potersi alimentare, ed è per questo che possiamo dirci insensibili alle immagini: perché ora esse non riescono nemmeno più a toccarci, poiché sono già sempre riprese da un discorso che sia in grado di orientarne sapientemente la lettura (cosa ben diversa da un incontro). Le immagini non ci toccano più, non hanno più alcun potere su di noi (in questo senso ne siamo assuefatti): avidi di parole, di senso, di idee o ideali, noi passiamo attraverso le immagini per raggiungere la forma limpida della Verità, il loro senso segreto fattosi parola. E così ogni immagine è perfettamente scambiabile, perfettamente sostituibile, ciascuna pronta ad anticipare la prossima immagine da mostrare, o meglio: consumare, ma consumata senza qualcuno l'abbia veramente incontrata.
(Ieri ho guardato per la prima volta le fotografie del corpo di Stefano Cucchi, senza una voce che mi narrasse gli avvenimenti che hanno deciso della sua morte, senza didascalia che ne illustrasse ­ poiché è solo la parola che illustra l'opacità delle immagini ­ senza una didascalia che mi porgesse la Vera storia. E, nel guardare queste foto, senza più nemmeno aver la forza di leggere l'articolo, le parole son come rimaste soffocate in gola, il pensiero infranto.)

marco

5.11.09

La colla delle Immagini
















"Le immagini necessitano di un'operazione che sappia portarle al chiarore della lettura, ma così rischiarate esse restano come invisibili sotto la luminosità accecante di ciò che si proietta su di esse."
Si tratta quindi di una luminosità accecante. O meglio di una proiezione luminosa, accecante. La didascalia, il montaggio.
Sembra crearsi la forzatura di una dialettica artificiosa tra immagine-didascalia, illustrazione-parola. Lo scambio è imposto nel momento in cui la parola si incolla unilateralmente all'immagine. Il dialogo (il "TRA", taglio, tra discorsi; discorso-TRA-discorso) è fittizio, o mancante. Al discorso dell'illustrazione (oscuro, opaco, indefinibile, ma comunque traccia) si pone dall'altro lato del TRA una spiegazione di tale discorso, la sua illuminazione, la didascalia. Questa didascalia non è discorso (proprio) ma lampada sul discorso inscritto nell'illustrazione. Nel taglio che è dialogo dunque, le regioni dell'immagine e della parola non comunicano in forza della cecità prodotta dalla seconda.
Decade la comunicazione. Il resto è la colla tra i due capi di questa.
Nel luogo di questa reciprocità perversa, è già presente lo sguardo del voyeur; l'Io-guardante. Questi, questo-Io è la cabina di ricezione posta nel mezzo dello pseudo-dialogo immagine-parola. Il luogo del TRA dialogico è dunque svuotato dall'illuminazione (di cui sopra) e riempito dall'Io-che-guarda l'immagine. La fonte della proiezione luminosa è alle sue spalle; l'immagine davanti, rettilinea allo sguardo (l'illustrazione arriva prima della parola). La luminosità che filtra di-oltre-le-spalle (le mie spalle) didascalizza l'immagine osservata (che osservo).
Ma cosa significa questo passaggio? Questa inalazione luminosa che l'Io-guardante respira nel trovarsi nel luogo di mezzo della comunicazione fallita tra immagine-parola? Cosa questa indignazione-sofferenza-assuefazione davanti l'immagine?
Il porsi di mezzo dell'Io-guardante nel processo diapositivo illustrazione-didascalia, coincide con una (2)de-soggettivazione mascherata da (1)Io-sento. In altre parole, nel momento in cui Io-guardo una immagine che ritrae un "corpo martoriato", sento. (1)Questo sentire (sofferenza, indignazione, neutralità, repulsione, eccitazione) è già presunzione di identificazione, lo è per me stesso. "Io ho sentito questo. Ne sono sicuro. Io". (2) Se tuttavia, sento la certezza di questo Io-sento, il luogo in questo accade è già un luogo perverso, in cui ottengo il mio nome (l'idea di nome è qui identica al sostenere l'idea del Io-sento di sopra) nel posto in cui lo ottiene una ampia generalità di persone. Il TRA è riempito da una estesa quantità di persone, di Io-guardante (Io-sento).
Immagine-Io(sento)-didascalia.
Accade qui che il stesso processo di attribuzione che agisce dalla parola all'immagine, si compie nei confronti dell'Io, colpendolo nel momento in cui maggiormente si soggettivizza. Il momento della "sensazione". Identificazione manipolata, condotta, didascalizzata. Ha luogo la marca: sofferente, indignata, neutra, eccitata. Il resto è la colla tra le immagini.
Rughe
Lasciateci entrare nei CIE